Associazione nazionale infermieri di area critica
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Fare la differenza / Make a difference

by Maria Benetton, Silvia Scelsi

Sempre più frequentemente, anche in risposta ai Piani Sanitari Regionali, si delineano contesti di cura a “gestione e responsabilità infermieristica”, ma anche il recente, e non ancora concluso, dibattito sulle competenze infermieristiche dovrebbe portare ad opportunità di sperimentazioni o consolidamento di modelli operativi nuovi. Questa sarebbe (è) una grande occasione ma il valore aggiunto che possono dare gli infermieri ci sarà solo se si esprimerà un’idea “diversa” di assistenza e cura. I modelli organizzativi mutuati dai sistemi industriali ed applicati alla sanità in cui le parole chiave sono unicamente budget, costi, efficienza, ottimizzazione di risorse umane, isorisorse, e tutto un vocabolario che ben conosciamo, hanno sovrastato i modelli assistenziali: forse c’è bisogno di capovolgerli, o perlomeno
di guardarli con una visione prospettica in cui il fuoco siano la persona e gli esiti. Sarebbe bene porsi delle domande che guidino in questo percorso: assumere nuove competenze per un servizio migliore
al cittadino o per sostituire altri professionisti ad un costo minore? Ripetere solo prestazioni o agirle tenendo presente il paradigma del nursing? Snellire decisioni e sistemi per gli utenti e i professionisti o
“burocratizzare” esaltando la formalità fine a se stessa? I dirigenti infermieristici vorranno attivare ruoli nuovi e specializzati per valorizzare le competenze avanzate? Se nei nuovi contesti (case della salute,
ospedali di comunità, gruppi di professionisti associati...) si riportano i modelli ospedalieri per acuti, delineati sulla diagnosi e terapia, sull’efficienza, sul turnover, che cosa cambia? Se continuiamo a pensare all’assistenza infermieristica come interventi sulla gestione di percorsi clinici o gestione organizzativa, dimentichiamo la grande opportunità (e la formazione che abbiamo) di individuare e aiutare la persona a sviluppare la sua capacità di autocura o di adattamento alla cronicità o alla disabilità. Di per sé, si produce un cambiamento solo se la maggioranza vi aderisce. La minoranza fa la “rivoluzione”, la maggioranza la fa diventare normale. Le legittime richieste di autonomia e responsabilità di gestione devono seguire il percorso già delineato con il Profilo Professionale nel lontano 1994, ma è importante per gli infermieri, soprattutto quelli clinici, di linea, della media dirigenza, vedere il rinnovamento. Se si mantengono sempre gli stessi modelli e si ripete l’esistente (in una società così mutata e mutabile), dov’è la differenza tra un dirigente infermieristico o un dirigente di altra estrazione? Cosa cambia per il cittadino malato? A venti anni dalla definizione del Profilo Professionale ancora assistiamo alla
pratica assistenziale che si sente lontana dalla teoria e dalla ricerca. Ci sentiamo e viviamo in un contesto in cui l’organizzazione non assume decisioni che sono mediate da una consapevolezza dei professionisti sulle pratiche Evidence Based da garantire, ma si adeguano ai soli termini di aziendalizzazione “economico-finanziaria”. Riusciremo a diventare consapevoli che la pratica è teoria e la teoria è pratica? Che la ricerca serve a risolvere problemi concreti? Quando riusciremo a vedere con chiarezza il legame tra questi due criteri dell’assistere allora forse cominceremo a consolidare il cammino rivoluziario di alcuni verso la normalità di molti. Questo passa solo attraverso la consapevolezza che la competenza deve restare sulla persona e sull’assistere. L’infermieristica dovrà portare la visione
olistica della persona malata, la ricerca delle sue potenzialità o delle capacità residue, la visione di rete e di collaborazione tra tutti coloro che sono coinvolti nella malattia e soprattutto nella cronicità;
se invece adotteremo l’idea del dominio sulla struttura, sul personale, non faremo la differenza sulla qualità dell’assistenza. Se applicare una competenza avanzata è solo in funzione dell’apparire “specialista” della tecnica o dell’organo, e non in funzione di una risposta assistenziale appropriata ed esperta, non faremo la differenza sulla qualità dell’assistenza. Cerchiamo di non affrontare il nuovo
con schemi vecchi, se vogliano fare la differenza dobbiamo far cose diverse ed in modo “diverso”. Se i cittadini che incontriamo ogni giorno se ne accorgeranno, vorrà dire che stiamo andando per il verso
giusto. Sono loro i valutatori.