We care. Il lavoro di assistere.
Questo il titolo e la linea che guiderà il Congresso Nazionale del prossimo novembre. Tre punti focali: il care, il lavoro, l’assistenza. Care, termine ormai abituale per indica-re il prendersi cura professionalmente delle persone che non possono farlo autonomamente, che aggiunge al curare (to cure), lo spirito dell’occuparsi e del preoccuparsi delle persone malate e non, dell’accompagnarli nel percorso di malattia o di recupero o del fine vita. La cura è una parola che indica un fenomeno che nel suo accadere si concretiz-za in modi differenti a seconda del contesto in cui si manifesta; nell’Area Critica la cura acquista, a volte una percezione diversa da altri contesti, sia per le persone coinvolte che per gli operatori. Il Care, invece è un termine maggiormente estensivo di “cura”, in cui si riconoscono tutti gli infermieri. Il Care è un attributo tipico, specifico e caratterizzante l’attività di assistenza, che valorizza la professione infermieristica naturalmente orientata “all’altro” ma sempre in una visione professionale competente.Ma la cura è anche lavoro di chi ha studiato e si impegna stabilmente in una professione organizzata. Lavoro non inteso solo come l’esercizio retribuito di una professione, ma come fenomeno sociale che interviene e modifica le vite delle persone e gli assetti economici. La destrutturazione del Welfare, l’impo-verimento di alcune fasce sociali, l’invecchiamento della popolazione, ma anche la tecnologia sempre più sofisticata o le aspettative di salute che talvolta rasentano l’illusione, richiede una revisone del lavoro e della sua organizzazione, non ancora rispondente ad una società in mutazione continua, esigente ma con risorse da assegnare con sempre maggior appropriatezza. L’assistenza, che quando diventa lavoro, deve essere rivista sotto una luce diversa: non un “costo” pubblico, ma un’attività con contenuti valoriali fortemente etici, in cui il guadagno non è solo del singolo in termini di recupero o mantenimento della salute, ma anche della collettività perchè una buona Sanità lo è se tutti possono essere assistiti e curati con la stessa competenza e coscienza. Il lavoro di assistere evoca una sorta di svalorizzazione delle competenze professio-nali; diventa visibile solo constatando i danni della sua assenza, piuttosto che i vantaggi del suo usufruirne. Solo quando i danni da carenza di cure sono presenti (lesioni da pressione, aumento della mortalità) oppure quando vengono a mancare i professionisti (ricordiamo l’emergenza infermieristica di alcuni anni fa?) ci si accorge del valore di questo lavoro e dei professionisti che lo svolgono. Questa attività, per sua natura “pesante” a causa dell’impegno emozionale che prescinde dai carichi di lavoro, deve essere organizzata non soltanto pensando a logiche di efficienza, ma rimettendo in primo piano i bisogni delle persone (sia gli assistiti che il personale). Non sempre è facile indicare gli elementi oggettivi, non generici e determinanti del lavoro di assistere che sostengano la necessità di investire (con formazione, valorizzazione sociale ed economica ecc.) nelle professioni ad elevato contenuto di cura. Gli infermieri, quali possibili indicatori, individuali e di gruppo, pos-sono presentare per valutare i risultati del loro lavoro? Ma ancora, il lavoro di assistere come è cambiato nell’evoluzione delle competenze? E gli atti terapeutici, come sono stati ridefiniti dagli infermieri arricchendoli della componente relazionaleemotiva? La dimensione del curare non si risolve unicamente nel guarire: passare “dalla cure alla care”, dalla cura della malattia al pren-dersi cura della persona che ha problemi di salute. Il Congresso Nazionale del prossimo novembre dibatterà questi aspetti e presenterà le esperienze più esemplificative che rappresentano il valore del lavoro di assistere, i progetti affinché il to cure non sia un termine astratto ma un modo, umano, di rappresen-tarsi come professionisti nella società.