Un sistema di valori
centro di molti cambiamenti. Come ha detto Ivan Cavicch, è la professione che ha fatto davvero la rivoluzione al suo interno negli ultimi 20 anni, trasformandosi per rispondere ai bisogni e ai cambiamenti sia delle persone che dei contesti. Oggi, ancora una volta, siamo in evoluzione e ci viene richiesto da più parti - dalla politica, dalle altre professioni, dagli assistiti - di partecipare alla trasformazione del sistema sanitario come protagonisti, andando verso un sistema non solo sostenibile, ma soprattutto di garanzia. La garanzia che il valore salute continui ad essere praticato come equità di accesso ai servizi, risposte adeguate alle domande di salute e assistenza, competenze specifiche, nuove organizzazioni. In questo continuo assestamento, che prevede ancora cambiamenti, molti professionisti vivono un senso di precarietà e di indeterminatezza del ruolo. Recentemente nel dibattito sulle competenze avanzate/specialistiche, un interessante punto di vista è stato espresso dal collega Stefano Bambi, il quale afferma che prima di tutto e prima di definire gli specialisti c’è bisogno di una solida base di assistenza. Tornare alla cura, al gesto, alla
base, per renderla sicura. Ma, se essere in grado di interpretare il nostro ruolo in questo sistema significa avere consapevolezza dell’essere infermiere, forse dobbiamo riflettere sulla condivisione dei valori ai quali facciamo riferimento e da questi costruire un “vocabolario” condiviso dell’essere infermiere, che ci unisca nei significati e nelle azioni, perché sembriamo confusi anche nel significato che attribuiamo alle parole della professione. Robert Levy, antropologo e psicoterapeuta, negli anni ‘50 ha condotto degli studi sulla popolazione di Thaiti che aveva un alto tasso di suicidi; ha compreso che queste persone non avevano nel loro linguaggio le parole per esprimere alcune emozioni, che pure provavano. Ha chiamato questo fenomeno “ipocognizione”. Non essere in grado di dare significato con le parole ai valori comuni, significa avere un pensiero diverso sul cuore della professione,identificare valori e azioni diverse sul vissuto della professione.
Questo può essere molto pericoloso e può determinare (generare) delle condizioni di deriva e confusione sia ipertecnologiche (abbiamo già vissuto la nascita delle figure tecniche) sia confuse sul ruolo generale dell’infermiere. Se siamo tutti convinti che la professione è portatrice (custode) di un sistema di valori, forse dobbiamo decidere di aprire un dibattito quanto più possibile sereno, ma critico ed esteso, perché dovremmo evitare che parte della professione resti senza le parole per dare significato a ciò che vive, aumentando differenze e discrepanze. Ognuno deve poter contribuire a questo dibattito e prendere coscienza di ciò che saremo. Nel nostro futuro, vorremmo vedere una professione evoluta e complessa, centrale nel sistema salute del nostro Paese, che si fa garante nel custodire assistenza, equità, appropriatezza, presa in carico, sia verso chi può essere curato, sia verso chi non ne ha ancora necessità, sia verso chi non può più usufruire della cura, ma avrà sempre bisogno di essere assistito. Distinguere correttamente tra clinica e assistenza e dare senso al significato proprio, non solo aiuterebbe la nostra professione ma anche le altre che sono con noi nel sistema salute. Le parole sono importanti e si trasformano nel lavoro giornaliero che garantisce ogni giorno il valore “diritto alla salute”.