Tutto già visto / All already seen
Comincerei con una storia: vent’anni fa, nel 1994, ero con un gran numero di infermieri provenienti da tutt’Italia, a manifestare in una Roma assolata e caldissima affinché si approvasse il decreto ministeriale
739 familiarmente “Profilo Professionale” per tutti. I titoli che apparivano nei giornali, le lettere e le interviste dei medici del tempo erano sul tema “Da oggi gli infermieri dimetteranno i malati”, “A rischio la vita
dei pazienti” e simili. La memoria ci dice che nessun infermiere ha mai dimesso nessuno e nessuno è morto a causa del Profilo Professionale. La stessa acredine per difendere poteri e status, li rivediamo in questi giorni in cui si critica fortemente l’attivazione di Unità di Degenza a Gestione Infermieristica nel Lazio, ma già presenti in altre parti d’Italia, usando parole che dovrebbero essere maggiormente riflettute per la pesantezza che assumono e che possono fuorviare il giudizio delle persone malate. Tutto già visto ma oggi, a differenza di vent’anni fa, abbiamo infermieri clinici, infermieri coordinatori, infermieri dirigenti con formazione accademica e esperenziale maggiore che in passato; abbiamo soprattutto persone ammalate esperte su se stessi e familiari molto più competenti (il paziente esigente come lo tratteggia il prof. Cavicchi) che sanno valutare i servizi sanitari offerti. Attardarsi in battaglie di retroguardia contro gli infermieri è poco efficace: l’identità professionale è in continua transizione tra le immagini del passato e quelle del futuro, l’appartenenza non è più un motore identitario forte ed inamovibile, gli ambiti di attività si intrecciano e bisogna intervenire creativamente nella costruzione di un progetto multiprofessionale. Non togliere valore a nessuno ma dare valore a tutti. Ovviamente questo vale se il pensiero è all’efficacia delle cure, alla qualità dell’assistenza, all’appropriatezza clinica, alla logica della continuità e dell’umanizzazione delle cure, al miglior impiego delle risorse, ma se si pensa solo al potere come controllo e “possesso” dell’altro, unicità assoluta quasi deificata e squalificazione
delle competenze di altri professionisti, il confronto è poco efficace. Un’altra notizia di alcuni giorni fa, dichiarava che il nostro Sistema Sanitario è il terzo al mondo in termini di efficienza. Questa classifica è stilata da Bloomberg che ha considerato i dati forniti da Banca Mondiale, Fmi e Oms, non è una valutazione autoreferenziale. Perché queste due notizie così differenti hanno un nesso?
La nostra esperienza quotidiana si stupisce di questa notizia, più che terzi in classifica, ci sentiamo inseguitori spesso in affanno per la riduzione dei tempi di assistenza, per i tagli economici subiti nella più netta linearità, per il mancato ripristino del turnover del personale, per le resistenze all’innovazione di modelli organizzativi, per le tensioni interprofessionali e per la scarsa flessibilità delle strutture apicali decisionali... e potremmo ancora continuare. Invece, nonostante tutto, questo terzo posto è stato conquistato anche grazie ai 276.716 infermieri italiani che hanno garantito un’assistenza di qualità. Infermieri
che hanno apportato miglioramenti e valore anche agendo nuove competenze specialistiche, che gestiscono pazienti secondo il modello See&Treat, che operano in strutture a direzione organizzativa infermieristica. Posizioni ideologiche obsolete incapaci di leggere il contesto attuale contro i risultati raggiunti nonostante queste posizioni. Ecco il nesso.